mercoledì 27 febbraio 2008
LE DONNE DI MAGLIANA
E’ sempre una piccola scintilla quella che fa scoppiare un grande incendio.
La piccola scintilla che fece divampare la lotta per la casa alla Magliana, che arrestò la speculazione edilizia romana degli anni ’70, che portò alcuni Amministratori Capitolini nelle aule giudiziarie, che fece conoscere il quartiere a tutto il mondo scaturì da un gruppo di donne, tutte massaie, che in maniera del tutto spontanea organizzarono una manifestazione contro l’ Ufficio affitti delle Società Immobiliari Prato e Lisbona. Le donne, chiedendo una riduzione del costo d’affitto per le abitazioni in cui vivevano, furono così decise che il ragioniere responsabile delle due Società scappò dalla finestra.
Era il maggio del 1971.
La rabbia delle donne di Magliana aveve ragioni precise. Gli affitti da pagare per le loro case erano alti e consumavano da soli quasi la totalità delle loro entrate. Inoltre in quei mesi il Comune di Roma aveva assegnato circa mille appartamenti a famiglie che vivevano nelle baracche di Prato Rotondo, assegnazioni fatte in stabili posti dall’altra parte della strada. Molti gli abitanti di Magliana che conoscevano di persona queste famiglie, perché per anni avevano abitato con loro in baracca e che, stanchi di aspettare per tutta una vita una casa popolare, stavano subendo adesso affitti di rapina.
E’ da questo, dal sentire la grossa ingiustizia di essere della stessa condizione sociale, di abitare nella stessa zona ma di subire un affitto doppio rispetto a quello che esigeva il Comune, che nacque la rabbia delle donne e che, senza alcun preavviso, si concretizza in manifestazione.
La sera di quel giorno, tornati a casa da lavoro i mariti, qualcuno propose una assemblea su quanto era accaduto, avvisando tutte le famiglie dei due stabili, scala per scala. All’assemblea parteciparono centinaia di persone ed il giudizio di tutti fu unanime: la Magliana è un quartiere popolare, le case sono state costruite per i lavoratori, gli affitti devono essere popolari!
All’assemblea partecipò, non si seppe da chi invitato, anche il Segretario provinciale del SUNIA, il sindacato degli inquilini, Gerindi, condannando questa forma di lotta. Secondo lui fare l’autoriduzione dell’affitto contro le proprietà private era pericoloso, ci sarebbero stati sfratti a non finire. Propose, invece, di chiedere al Comune sussidi per le famiglie più bisognose. La risposta dell’assemblea fu una sola: a partire da giugno si pagherà soltanto la metà dell’affitto!
Non ci si fermò a questo. Oltre alla difficoltà di affrontare affitti troppo alti rispetto ai propri salari, fu individuato un altro motivo per l’autoriduzione. Erano presenti all’assemblea molti operai edili che avevano lavorato nei cantieri del quartiere. Furono loro che per primi cominciarono a parlare che gli edifici della Magliana erano irregolari, che il Comune di Roma aveva favorito i costruttori, che tutto il quartiere non era sicuro. Si decise che bisognava indagare su questi aspetti, di fare controinformazione.
Si decise anche di nominare un Comitato, formato da rappresentanti di scala.
Quella sera di maggio, in quel fazzoletto di terreno di Via Greve, dove successivamente i cittadini costruirono a loro spese un giardino, sembrava che tutto fosse già successo: contro le esose pretese economiche dei costruttori e contro le loro speculazioni i cittadini di Magliana esprimevano la loro volontà di opporsi. Si opposero con lo strumento dell’autoriduzione e si diedero forme autonome d’organizzazione.
Le cause che portarono a quella assemblea erano già presenti prima di quella sera, anche se ancora inespresse. Nelle caratteristiche della popolazione che tutta insieme, nel giro di pochi mesi, va a formare un quartiere di oltre 30.000 unità, nella storia di quelle famiglie, nella loro provenienza, nella loro collocazione nel mondo del lavoro, nel loro reddito sarebbe stato facile individuare quello che poteva succedere.
Ci voleva solo un’occasione per dare inizio a tutto. L’occupazione dell’Ufficio affitti da parte delle donne di Magliana fu quella scintilla. E il fuoco divampò.
E’ sempre una piccola scintilla quella che fa scoppiare un grande incendio.
La piccola scintilla che fece divampare la lotta per la casa alla Magliana, che arrestò la speculazione edilizia romana degli anni ’70, che portò alcuni Amministratori Capitolini nelle aule giudiziarie, che fece conoscere il quartiere a tutto il mondo scaturì da un gruppo di donne, tutte massaie, che in maniera del tutto spontanea organizzarono una manifestazione contro l’ Ufficio affitti delle Società Immobiliari Prato e Lisbona. Le donne, chiedendo una riduzione del costo d’affitto per le abitazioni in cui vivevano, furono così decise che il ragioniere responsabile delle due Società scappò dalla finestra.
Era il maggio del 1971.
La rabbia delle donne di Magliana aveve ragioni precise. Gli affitti da pagare per le loro case erano alti e consumavano da soli quasi la totalità delle loro entrate. Inoltre in quei mesi il Comune di Roma aveva assegnato circa mille appartamenti a famiglie che vivevano nelle baracche di Prato Rotondo, assegnazioni fatte in stabili posti dall’altra parte della strada. Molti gli abitanti di Magliana che conoscevano di persona queste famiglie, perché per anni avevano abitato con loro in baracca e che, stanchi di aspettare per tutta una vita una casa popolare, stavano subendo adesso affitti di rapina.
E’ da questo, dal sentire la grossa ingiustizia di essere della stessa condizione sociale, di abitare nella stessa zona ma di subire un affitto doppio rispetto a quello che esigeva il Comune, che nacque la rabbia delle donne e che, senza alcun preavviso, si concretizza in manifestazione.
La sera di quel giorno, tornati a casa da lavoro i mariti, qualcuno propose una assemblea su quanto era accaduto, avvisando tutte le famiglie dei due stabili, scala per scala. All’assemblea parteciparono centinaia di persone ed il giudizio di tutti fu unanime: la Magliana è un quartiere popolare, le case sono state costruite per i lavoratori, gli affitti devono essere popolari!
All’assemblea partecipò, non si seppe da chi invitato, anche il Segretario provinciale del SUNIA, il sindacato degli inquilini, Gerindi, condannando questa forma di lotta. Secondo lui fare l’autoriduzione dell’affitto contro le proprietà private era pericoloso, ci sarebbero stati sfratti a non finire. Propose, invece, di chiedere al Comune sussidi per le famiglie più bisognose. La risposta dell’assemblea fu una sola: a partire da giugno si pagherà soltanto la metà dell’affitto!
Non ci si fermò a questo. Oltre alla difficoltà di affrontare affitti troppo alti rispetto ai propri salari, fu individuato un altro motivo per l’autoriduzione. Erano presenti all’assemblea molti operai edili che avevano lavorato nei cantieri del quartiere. Furono loro che per primi cominciarono a parlare che gli edifici della Magliana erano irregolari, che il Comune di Roma aveva favorito i costruttori, che tutto il quartiere non era sicuro. Si decise che bisognava indagare su questi aspetti, di fare controinformazione.
Si decise anche di nominare un Comitato, formato da rappresentanti di scala.
Quella sera di maggio, in quel fazzoletto di terreno di Via Greve, dove successivamente i cittadini costruirono a loro spese un giardino, sembrava che tutto fosse già successo: contro le esose pretese economiche dei costruttori e contro le loro speculazioni i cittadini di Magliana esprimevano la loro volontà di opporsi. Si opposero con lo strumento dell’autoriduzione e si diedero forme autonome d’organizzazione.
Le cause che portarono a quella assemblea erano già presenti prima di quella sera, anche se ancora inespresse. Nelle caratteristiche della popolazione che tutta insieme, nel giro di pochi mesi, va a formare un quartiere di oltre 30.000 unità, nella storia di quelle famiglie, nella loro provenienza, nella loro collocazione nel mondo del lavoro, nel loro reddito sarebbe stato facile individuare quello che poteva succedere.
Ci voleva solo un’occasione per dare inizio a tutto. L’occupazione dell’Ufficio affitti da parte delle donne di Magliana fu quella scintilla. E il fuoco divampò.
Pubblicato
da Giuseppe Innocenzi a 00:34
martedì 18 marzo 2008
Nascita di un quartiere 1
Il quartiere della Magliana nasce tra la fine del
1969 e l'inizio del 1970 ed è il frutto di una pasante speculazione
edilizia. Non è la più grande operazione del genere in quegli anni a
Roma. In una città che vedeva, e che vede ancora, l'edilizia tra i
settori più importanti della sua economia, esempi speculativi ben più
grandi non erano di certo infrequenti.
La
speculazione edilizia alla Magliana è stata quella più conosciuta,
quella più studiata e discussa, quella più seguita dai mezzi di
comunicazione nazionali ed esteri. Questo per una ragione fondamentale;
gli abitanti del quartiere, sin dalle loro prime assemblee, iniziarono
la lotta contro i costruttori delle case in cui abitavano non solo
perchè non ce la facevano ad affrontare affitti troppo alti rispetto ai
loro salari, ma anche perchè alcuni di loro, che come operai edili
avevano lavorato nei cantieri di Magliana, parlarono subito di
irregolarità, di abusività, di mancate sicurezze.
A
Roma si erano già verificati episodi di lotta per la casa, ma in
nessuna occasione, come alla Magliana, tale momento di opposizione e
accompagnato da una "controinformazione" così precisa ed attendibile da
portare alla luce tutti i meccanismi con cui tale speculazione era stata
prima ideata e dopo realizzata.
L'edificazione
di un quartiere nella zona Magliana, un'idea partita nel dopoguerra con
il beneplacito di amministrazioni comunali di centrodestra prima e
centrosinistra successivamente è la realizzazione di un progetto
iniziato negli anni del periodo fascista. Infatti con la decisione nel
1950 di prolungare la via Cristoforo Colombo fino al mare, si rimettono
in moto quelle iniziative avviate per l'Esposizione nel 1942. La zona
Magliana resta allora l'ultima area completamente disponibile tra quelle
che vengono valorizzate dalla ripresa dell'espansione di Roma verso il
mare. L'area in questione ha, inoltre, due caratteristiche che sono
fondamentali alla riuscita dell'operazione: appartengono per intero,
insieme a gran parte della collina sovrastante, ad un solo proprietario,
il conte Tournon, e si trova fuori dai confini del Piano Regolatore del
1931.
L'importanza
della prima caratteristica è ovvia per quanto riguarda la forza di
pressione che poteva essere esercitata e la capacità di controllo
sull'interea operazione. Gli aspetti della seconda, che a prima vista
poteva sembrare una difficoltà, saranno brillantemente superate dal
Comune di Roma.
Infatti
nel 1949 gli Uffici capitolini si rivolgono al Ministero dei lavori
Pubblici, retto all'epoca da Tupini, per sapere se l'area potesse essere
compresa o meno nel Piano Regolatore. Questa la sollecita risposta del
Ministero:
"In
relazione alla nota suindicata si fa presente che la zona indicata
nella unita planimetria con tratteggio color turchino, sebbene non sia
colorata con i simboli delle destinazioni edilizie, deve ritenersi
compresa entro il perimetro del vigente Piano Regolatore della città".
Ottenuta
questa insolita autorizzazione dai Lavori pubblici, la redazione di un
Piano Particolareggiato per l'edificazione dell'area Magliana (circa 70
ettari per 40.000 abitanti) non impegna molto i tecnici comunali. Il 24
gennaio 1950, con una relazione di solo due cartelle, viene presentato
sempre al Ministero del Lavori pubblici per l'approvazione il Piano
Particolareggiato n.123.
Il
decreto ministeriale di approvazione non è di certopiù impegnativo
della relazione, ma contiene alcune considerazioni che lucidamente
prefigurano i risultati finali dell'operazione speculativa. Nella
relazione viene infatti affermato che il Piano n.123:
"...appare
rispondente alle esigenze di una composizione di un nuovo quartiere e
opportunamente armonizzato con il carattere topografico e paesistico
della località...".
Si prescrive allora di ridurre l'alt ezza massima degli edifici da 25 metri a 22:
"...onde non sia preclusa la vista della retrostante zona collinare."
Tale
prescrizione sembrerebbe scombinare i progetti degli speculatori e dei
loro alleati. Con questa prescrizione, invece, ha inizio quella
operazione, cosiddetta del reinterro, che permetterà la realizazione di
volumi edificati superiori a quelli, già molto alti, previsti dal Piano
n.123. Infatti, nell'accogliere le modifiche imposte dal decreto
ministeriale, il Comune di Roma introduce anche:
"...il
sensibile rialzamento della quota di un tratto di via della Magliana,
in modo .... da facilitare ed assicurare il deflusso delle acque di
rifiuto, prodotte dalle future abitazioni, in ogni stato di piena del
Tevere e del collettore di destra".
Il
rialzamento della quota viene esteso a tutta la zona compresa tra via
della Magliana ed il Tevere. La quota dovrà essere uguale a quella
dell'argine del fiume.
Nessun
cenno di tale previsione era presente nella relazione che accompagnava
il Piano presentato dal Comune di Roma, nè nel decreto di approvazione
da parte del Ministero. Appare molto chiaro, quindi, come il rialzamento
delle quote sia stato utilizzato per consentire l'indiscriminato
incremento delle altezze dei fabbricati.
(continua)
mercoledì 19 marzo 2008
Nascita di un quartiere 2
Il capitolo decisivo per lo sfruttamento
speculativo della Magliana arriva con il nuovo Piano Regolatore Generale
di Roma del 1954. In quel Piano vengono accettati tutti i Piani
Particolareggiati di attuazione del 1931. l'area della Magliana era
ancora inedificata, ma vengono accettate condizioni in netto contrasto
con i vincoli fissati da suddetto Piano. La densità massima prevista di
400 abitanti per ettaro passa a 600. La dotazione di spazi da destinare a
servizi dai 36 ettari necessari per quartieri con più di 10.000
abitanti si riducono a 2,6. Soprattutto tutti gli oneri di
urbanizzazione sono a carico dell'Amministrazione Comunale. Solo alla
Magliana il costo dei servizi e delle insfrastrutture primarie, in base a
prezzi del 1974, supererà i 2o miliardi di vecchie lire.
Gli
anni che vanno dal 1965 al 1975 sono quelli della reale edificazione
del quartiere. Protagoniste principale di ciò sono delle Società
Immobiliari riconducibili al Gruppo Condotte. Contando su ingenti
finanziamenti concessi da BNL, nel giro di soli quattro anni (1965 -
1969) vengono ottenute licenze per la realizzazione di circa due milioni
e mezzo di metri cubi di costruzioni. Innescata la speculazione tutti i
"palazzinari" operanti in città vengono attirati dall'operazione. Nel
1975 l'area è quasi del tutto edificata. In dieci anni sono stati
realizzati oltre 3 milioni di metri cubi, 78oo alloggi per oltre 32.000
abitanti.
Tale
volumetria supera del 30% quella già elevata consentita dalle vecchie
previsioni della 123. La superficie totale del quartiere ( 43 ettari ) è
destinato per un terzo ( 13,3 ) a strade, quasi tutto il resto ( 29,6 )
ad edificazione, solo mezzo ettaro è destinato a verde.
Nonostante
il massiccio sfruttamento dell'area, gli speculatori sono riusciti
nell'impresa di superare l'altezza massima consentita, costruendo due
piani in più. In basso! Il meccanismo fu di certo ingegnoso. Sfruttando
quella prescrizione del reinterro, di cui sopra abbiamo detto, l'altezza
massima degli edifici è stata misurata, con l'assenso del Comune di
Roma, a partire dalla quota dell'argine, che è di quasi sette metri più
alto del piano di campagna. In questo modo si sono realizzati, sotto la
quota, due piani in più di quelli consentiti, e questi sono stati
destinati ad abitazioni e negozi. Il Comune si è limitato a chiedere ai
costruttori un generico impegno a reinterrare i piani in più, una volta
eseguito il reinterro delle aree pubbliche. Tutte e due le parti
sapevano fin da allora che ciò non sarebbe mai avvenuto.
Alla
fine del 1975 la popolazione del quartiere assomma a 31.671 abitanti.
Il rapporto abitanti/stanza è di1,3, contro un rapporto medio della
città dello 0,96.
Gran
parte degli alloggi, a causa dell'alta densità e delle tipologie
edilizie, è totalmente priva di insolazione e areazione; circa il 58%
degli alloggi non ha altro sbocco esterno che un cortile, largo in media
15 metri. Il 25% delle stanze di abitazione si affaccia su chiostrine
interne.
La
carenza di spazi pubblici attrezzati per il tempo libero è totale, così
come è totale la mancanza di spazi a verde. Le scuole soddisfano meno
del 30% del fabbisogno e si arriva in quegli anni al triplo turno.
Gravissime le condizioni igieniche. Gli scarichi degli edifici finiscono
nelle fosse biologiche e in un fosso scoperto che attraversa il
quartiere. La mancanza di reti di scarico provoca il permanente ristagno
delle acque piovane. L'umidità è perenne in una zona già svantaggiata
sotto questo aspetto per essere a ridosso del Tevere.
L'ultimo
lato da chiarire dell' "affare Magliana", importante per meglio
comprendere gli ulteriori sviluppi della vicenda, è quello
dell'affidamento della gestione del patrimonio immobiliare realizzato.
Gli enti previdenziali ed assicurativi, a garanzia dei loro fondi, sono
ben disposti ad acquistare gli edifici di Magliana. Tali enti speculano
sull'aumento di valore che normalmente si realizza nel mercato edilizio.
Soprattutto, però, si punta a un risultato ben maggiore: l'aumento di
valore che scaturisce dall'aver investito su fabbricati a basso costo a
causa di un quartiere senza insfrastrutture e servizi e la possibilità
di rivendere con notevoli ricavi, una volta che ciò sarà fornito dal
capitale pubblico.
Tale
operazione doveva essere condotta con la massima fretta. Dopo che tutti
avranno realizzato abbondanti rendite e ingenti profitti, tutti
sarebbero usciti di scena senza aver lasciato traccia di sè. Sarebbe
rimasto solo un mostruoso agglomerato di edifici intensivi, un quartiere
"ghetto" con condizioni di vita poco sopra descritte: la Magliana.
Così
non è stato. La rivolta degli abitanti contro il caro affitti, contro
le inumane condizioni di vita e la paziente ricerca dei responsabili di
tutto ciò fece fallire il piano ed arrestò la speculazione.
Ma questa è un'altra storia.